Basare la propria attività politica su fatti inesatti o strumentalizzati a proprio piacere, non porta da nessuna parte.
Può accadere che i nostri ricordi del passato vengano offuscati dal tempo trascorso e talvolta processi mentali di autodifesa ci portano a idealizzare i bei tempi andati. Esiste, però, chi fa un uso deliberatamente strumentale di certe umane debolezze e chi discute di economia senza avere ripassato i dati offerti dalle rilevazioni statistiche.
Le affermazioni di Matteo Salvini, intervistato qualche giorno fa in uno dei tanti talk show della politica:
“Negli anni Ottanta si lavorava più in Germania che in Italia, c’erano stipendi più alti in Italia che in Germania e gli italiani compravano più case rispetto ai tedeschi. I giovani di oggi stanno erodendo quella ricchezza che i nostri nonni e i nostri genitori hanno messo da parte perché non lavorano come lavoravano i nostri genitori e i nostri nonni”
e ancora,
“Con la lira le nostre aziende correvano più della Germania. Era un’Italia dove si lavorava, si risparmiava, si stava bene. In quegli anni i nostri genitori e i nostri nonni, con il loro lavoro, hanno comprato le case dove oggi viviamo”
mi hanno lasciato stupefatto.
Questo siparietto nella trasmissione “di Martedì” mi è rimasto impresso per le clamorose affermazioni fatte dall’intervistato che solo minimamente sono state contestate dal conduttore della trasmissione e dal giornalista che poneva le domande.
Negli anni 80 c’erano stipendi più alti in Italia che in Germania
Si tratta della personale interpretazione di Salvini degli anni della Milano da bere, ma la storia economica e i dati statistici ufficiali riferiti a quel periodo storico forniscono una fotografia differente. Appare evidente che per un fautore del sovranismo, l’esaltazione della valuta nazionale assoggettata al diretto controllo della banca centrale nazionale si configura come il contrasto all’euro, espressione della cessione della sovranità monetaria e del controllo della politica monetaria ad un organismo sovranazionale europeo.
Sono coetaneo di Salvini, nato nel 1973, quindi come lui dovrei conoscere poco gli stipendi degli anni 80 visto che nel 1980 io e Salvini avevamo 7 anni. Ma si dà il caso che mio padre pochi anni prima era dovuto emigrare in Germania per trovare un lavoro e dare così sostentamento alla famiglia; nel 1981 facevo il primo viaggio a Colonia con lui per trascorrere insieme le vacanze estive e avevo l’occasione di conoscere questo bellissimo paese. Grazie a quel lavoro e grazie agli alti stipendi della Germania, nel 1982 la mia famiglia diventava proprietaria in Italia di una bella casa contraendo un mutuo al 25% per 15 anni. Non era facile pagarlo in quanto l’inflazione in quell’anno era al 14,71% e i nostri soldi perdevano continuamente valore. L’unica fortuna era che il babbo lavorava in Germania e guadagnava tre volte lo stipendio italiano. La moneta forte che portava a casa, il Marco Tedesco, si rivalutava continuamente compensando sia la disastrosa inflazione che il costoso mutuo a tasso variabile.
Come suggerito da Salvini sono andato a vedermi i dati i dati degli stipendi di quegli anni in Italia e Germania.
Qui la tabella, dal sito di Istat, sugli stipendi Italiani. Valuta la lira italiana.
Qui la tabella di quelli tedeschi in quegli anni. Valuta il marco tedesco.
Per paragonare gli stipendi è necessario conoscere il cambio di quell’epoca; nel 1980 un marco si cambiava a circa 450 lire e alla fine degli anni ’80 a 800 lire . I teorici della svalutazione per favorire le esportazioni dimenticano che questa ha un prezzo per la popolazione che vede continuamente aumentare il costo di tutti beni di importazione mentre i risparmi perdono valore a causa della conseguente inflazione. Tornando agli stipendi, nel 1980 un operaio Italiano guadagnava circa 350.000 lire mentre quello tedesco superava abbondantemente il milione di lire. Naturalmente questo non vuol dire necessariamente che in Italia si stava molto peggio in Germania visto che il costo della vita di quest’ultima è sempre stato più alto. Di certo, però, non eravamo più ricchi dei tedeschi.
Il Pil tedesco si è mantenuto sempre maggiore di quello italiano, anche quando l’Italia è diventata la quinta potenza economica mondiale con il sorpasso del Regno Unito mentre la Germania si collocava al terzo posto. Il Pil pro capite, indicatore sintetico del benessere economico di un paese, era nel 1980 di $ 8.456 per l’Italia e $ 12.138 per la Germania, divenuto nel 1989 pari a $ 16.386 per l’Italia e $ 17.764 per i tedeschi.
Mi riferisco alla situazione precedente alla caduta del muro di Berlino, avvenuta il 7 ottobre 1989, quando la Germania Est era ancora “oltre cortina” e il salario medio era inferiore del 20% a quello percepito dai lavoratori della Germania federale.
Nel decennio successivo, nonostante il grosso sforzo compiuto dai tedeschi per la riunificazione delle due Germanie, il tasso di disoccupazione tedesco si è sempre mantenuto inferiore al 10%, mentre quello italiano era superiore di 2 punti percentuali.
Contrariamente alle convinzioni di Matteo Salvini, dal 2002 fino alla crisi del 2008, con l’introduzione dell’euro il tasso di disoccupazione italiano è sceso al di sotto di quello tedesco.
Va ricordato, inoltre, che negli anni Ottanta i due paesi presentavano un elevato differenziale nel tasso d’inflazione: dal 14-16 % fino al 20% quello italiano, mentre in Germania si attestava sul 5%, con le conseguenti implicazioni sui tassi d’interesse monetari dei paesi considerati, sulla competitività e sull’andamento delle esportazioni. In particolare, in Italia, l’elevato livello della spesa pubblica se da un lato sosteneva la domanda interna e contribuiva al PIL, dall’altro determinava l’espansione dell’indebitamento pubblico che richiedeva alti tassi di interesse e cospicui sforzi per il mantenimento del deprezzamento della lira italiana entro la speciale banda di oscillazione prevista dallo SME; in più occasioni si è resa necessaria la svalutazione per il riallineamento della parità con il conseguente impoverimento relativo dell’Italia rispetto al resto del mondo.
I nostri genitori comperavano più case in Italia che in Germania
Su questo Salvini ha ragione. Da sempre comperiamo più case dei tedeschi, lo abbiamo sempre fatto sia prima che dopo l’avvento dell’euro. Questo fenomeno, secondo gli studi, è giustificato più da un fattore culturale che da uno stato di benessere. Se analizziamo nel dettaglio i dati del report istat negli anni ’80 vi è stato un calo delle compravendite in un mercato che ha visto una nuova giovinezza con l’arrivo dell’euro. La crisi successiva è ben nota, arriva da oltreoceano ed è stata causata dai mutui Subprime Americani e non certo dall’euro. I due grafici Istat qui di seguito illustrati confermano quanto scritto. L’affermazione di Salvini è faziosa o comunque basata su presupposti sbagliati.
“È la causa del motivo per cui stiamo male ora”
è stata l’unica replica, caduta peraltro nel vuoto, del conduttore durante l’intervento di Matteo Salvini.
Provo io a spiegare. Gli anni ’80 sono stati gli anni dell’esplosione del nostro debito pubblico. Nel tempo esso ha raggiunto dimensioni tali da impedirci di abbassarlo e così siamo arrivati al paradosso di pagarne addirittura solamente i relativi interessi.
Il debito è oggi la nostra prima zavorra. Tagliare la spesa quando siamo lo stato europeo con il maggiore avanzo primario (il nostro bilancio dedotti gli interessi sul debito ha più entrate che uscite risultando in attivo) non è una cosa facile in quanto i nostri costi di esercizio sono già ridotti al minimo. Questo impedisce investimenti e una riduzione della tassazione.
“Le imprese Italiane negli anni 80 comperavano aziende Americane, Tedesce e francesi”
Non ci è dato sapere dove Salvini trovi tali informazioni ma anche questa affermazione è palesemente falsa. Un critico e ampio articolo sulla questione è stato fatto da L’Antidiplomatico che nel suo articolo cita i dati del Sole 24 ore e definisce l’Italia uno stato imperialista.
Il grafico è eloquente e rappresenta gli Ide, ovvero gli “investimenti diretti all’estero” in pratica il volume in milioni di Euro degli investimenti in delle aziende italiane fatti all’estero. Evidenzia come le nostre aziende investano sempre di più all’estero.
Prima dell’arrivo del covid la tendenza si era ulteriormente accentuata tanto da rilevare che nei primi tre mesi del 2020 le multinazionali italiane hanno finalizzato operazioni di fusione o acquisizione all’estero per 6,6 miliardi di euro (2,9 miliardi nello stesso periodo del 2019), mentre le operazioni dall’estero sono ammontate a soli 1,2 miliardi (2,4 nel 2019).
È quindi vero, a differenza di quanto sostiene Salvini, che negli anni ’80 le nostre acquisizioni erano ridotte al minimo e che oggi hanno invece un notevole impatto sul bilancio delle nostre aziende.
Gli investimenti all’estero sono in aumento
Questo in assoluto non è nemmeno un dato del tutto positivo in quanto potrebbe rappresentare la scarsa intenzione delle grandi multinazionali Italiane di continuare a investire nel nostro paese preferendo gli investimenti all’estero, sono infatti noti i fenomeni in atto negli ultimi anni di delocalizzazione o di addirittura di chiusura delle attività nel nostro paese per preferire stati con condizioni più favorevoli.
Flat tax per 2 milioni di partite Iva
La posizione di Calenda sulla flat tax è nota, per chi non la ricordasse, qui di seguito un suo intervento in merito alla questione:
“Salvini mente, purtroppo anche questa volta, in quanto i 2 milioni di partite iva citate sono di fatto la somma dei beneficiari della flat tax del 2015 del governo Renzi ai nuovi beneficiari”.
Quota 100 per 300.000 persone
L’introduzione di quota 100, voluta proprio da Salvini, è una misura che accentua ulteriormente il divario generazionale poiché aumenta il peso delle pensioni correnti, già elevato di per sé e crescente in una fase di invecchiamento della popolazione e di declino demografico, sulle giovani classi di lavoratori.
La riduzione del divario generazionale può essere perseguita con misure indirizzate all’aumento dell’autonomia dei giovani, quali politiche abitative e creditizie più favorevoli e l’introduzione del reddito di opportunità proposta dalla Fondazione Bruno Visentini. Si tratta di un plafond di 20.000 euro da destinare ai giovani tra i 16 e i 35 anni di età, da erogare attraverso la costituzione di un fondo inizialmente dotato di 4,5 miliardi di euro mediante risorse pubbliche e fondi europei. La Francia ha già applicato un simile strumento con risultati preferibili a quelli ottenuti dall’introduzione in Italia del reddito dii cittadinanza.
Concludo con una “firma” speciale, quella dell’ironia.